Quella ricerca, partita da Bajo Dora, aveva evidenziato la vastità del fenomeno e l’abbondanza del materiale che si poteva ancora raccogliere estendendo l’indagine a tutto il Canavese.
Proprio per questo nel 1975 il coro Bajolese fonda il Centro Etnologico Canavesano.
L’attività del Centro, imperniata sull’esperienza di ricerca del Coro, si colloca nel quadro preciso di una organizzata e sistematica indagine sul campo per acquisire e poi divulgare informazioni sul vasto patrimonio culturale della Gente che vive in Canavese.
Girando per le borgate si ricomponeva davanti a noi l’immagine della vita che si conduceva prima della cosiddetta rivoluzione industriale; pian piano imparavamo a conoscere il cuore della nostra Gente, ad apprezzare i suoi sacrifici, ad ammirare il frutto del suo lavoro, a riconoscere nei canti un importante mezzo per comunicare ad altri i propri sentimenti.
“Volevamo rendere omaggio alla nostra gente riproponendo quelle canzoni che loro cantavano la sera nelle stalle o nei giorni di festa dopo la partita a bocce. Volevamo testimoniare il valore della loro vita associativa, capire i sacrifici cha hanno fatto per mantenere viva la montagna e la loro terra, stando negli alpeggi, curando i boschi, lavorando i campi. Le canzoni erano il loro momento creativo ed hanno rappresentato la porta principale per entrare nella loro vita “. |
Di fronte alla realtà che affiorava dai canti abbiamo sentito lo stimolo per allargare e approfondire l’indagine raccogliendo, oltre ai canti, ogni altra testimonianza che potesse aiutarci a comprendere meglio la vita della nostra Gente.
Con il coinvolgimento degli Enti locali ma soprattutto grazie alla fertile e generosa memoria dei molti collaboratori è iniziata una raccolta, prima col magnetofono e la macchina fotografica, poi con la cinepresa e la telecamera, delle testimonianze sui canti, sulle feste, sui riti, sul lavoro, sull’emigrazione, sulla cooperazione, sull’immigrazione e ogni altra espressione riguardante la Gente che vive in Canavese.
Migliaia di testimonianze, ore di registrazione, immagini documentano il nostro lavoro, ma soprattutto ci mostrano la realtà socio culturale del canavese antico e moderno.
Tuttavia sappiamo che ciò che è stato fatto non è sufficiente per garantire la sopravvivenza di questa cultura, anche se abbiamo recuperato tantissimi canti (più di mille ore di registrazione), riproposto tante testimonianze (in trasmissioni radiotelevisive, serate, con pubblicazioni librarie e audiovisivi e documentato tante attività di lavoro e di vita quotidiana.
Dopo la raccolta la restituzione attuata con dischi, audiocassette (ne sono state realizzate fino ad ora 50 ed ora stiamo passando ai CD), libri, opuscoli, incontri per dar modo a gruppi e a persone singole di venire a raccontare le proprie esperienze (da vent’anni si tengono gli “Incontri del Venerdi’”) e per un certo tempo una rivista (Gente del Canavese).
Tutto questo ha consentito al C.E.C. di intrecciare un fitto dialogo con i propri collaboratori facendo nascere in loro una nuova coscienza culturale delle cose che sapevano.
Ma la nostra caratteristica è la continua sperimentazione per far conoscere sempre più alla radice la cultura orale della Gente che vive in Canavese.
Quest’anno festeggiamo il 40° anniversario della fondazione del Coro e i nostri canti abbracciano ora molti aspetti della vita della nostra Gente: dai canti narrativi ai canti di protesta operaia, dai canti che ricordano la 1ª guerra mondiale ai canti dei partigiani, dai canti liturgici ai canti del carnevale, i canti dell’emigrazione, i canti dei cantastorie, i canti di Natale, i canti sul vino, i canti dei nostri margari; ultimamente si sono aggiunti i canti dei minatori.
È un divenire continuo, dinamico, nel rispetto della tradizione e nel desiderio di divertirci e divertire, ma anche cercando di far emergere i valori che, attraverso il canto, la Cultura e la Civiltà popolare ha sempre cercato di tramandare.
Il Coro Bajolese è poi l’ambasciatore del Centro Etnologico Canavesano e dei suoi collaboratori là dove è invitato a cantare; in questo frangente ci soccorre il fatto che anche noi siamo parte della nostra Gente, di cui abbiamo conosciuto la Cultura orale semplicemente porgendo l’orecchio e ancor più il cuore al richiamo delle nostre stesse tradizioni.
Bajo Dora, giugno 2006
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