Foto di Giovanni Torra, 1973
Archivio CEC
 
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La vera semplice tenera storia di
ELVIRA
un canto che suscita forti emozioni

È lui, Giacomo Giacomino, “l’autore” di questo canto, del Suo canto, della Sua storia della Sua esperienza di vita.
È lui che ce lo ha lasciato in eredità.
Era sabato 30 marzo 1973. Il posto era l’osteria di Cintano, quella lungo la strada che porta a Castelnuovo Nigra. Quel giorno, Giacomo Chiuminatto Moro, compagno di lavoro di mio fratello Italo ci fece conoscere Giaculin del Brich, così lo chiamavano i suoi compaesani, oltre al nomignolo di Barbis ed fèr, per via dei baffi bianchi e sottili, che caratterizzavano il suo volto vispo, sorridente, ma severo all’occorrenza.
Era nato in Algeri, da emigranti, nel 1900. Nel 1910 fu portato a Cintano, nella cascina in regione Brich, perché colpito da poliomielite. La malattia infantile segnò fortemente la sua vita.
Parlando delle difficoltà, che può avere un montanaro menomato alle gambe, non accennò mai alla possibilità di abbandonare il paese natio.
Quando noi gli prospettammo questa eventualità ci disse con piglio severo e deciso:

«no, io non vado via di qui… qui tutti mi conoscono e mi stimano per quello che hanno fatto mio nonno, mio padre e anch’io…tutti passando si fermano a parlare con me e molte volte mi fanno le commissioni. Se vado in pianura mi conoscono solo se ho dei soldi e se mi va male mi lasciano solo!»

Una risposta che dice molto del carattere e dei sentimenti di Giaculin. Era orgoglioso della sua voce, forse il dono più grande, in risarcimento della malattia.
Ricordava le “gare canore” con Giuanin dij Blin (Giovanni Buffo Blin) altro cantore formidabile di Castelnuovo Nigra.
Era dotato di un timbro di voce cristallino, un registro acuto e intonato naturalmente. Quel giorno nell’osteria gli avventori rimasero particolarmente silenziosi, mentre noi registravamo il suo bel cantare.
Tutto quel che cantò e ci raccontò a corredo dei canti è conservato nell’archivio del Centro Etnologico Canavesano a Bajo Dora.
Dopo aver cantato Elvira, con grande trasporto e tanto sentimento, prima ancora che gli facessimo i complimenti ci disse con forza in segno di sfida:

«Ades cantèla vièt si si bogn» (Adesso cantatela voi se siete capaci).

In quelle parole si nascondeva qualcosa che trascendeva la bellezza del canto, un qualcosa che solo lui poteva sapere.
Il Coro portò in repertorio “Elvira” nel gennaio 1976, con la voce solista di Antonio Decaroli.
Il canto trovò subito grande consenso tra il pubblico. Tuttavia non abbiamo mai di menticato le parole di Giaculin, anzi ci siamo sempre impegnati per dare a quelle parole un senso compiuto.
Finalmente, quando non pensavamo più di trovare spiegazioni plausibili, arrivò la telefonata di Rodolfo Giacoma Ghello, anche lui di Castelnuovo Nigra.

«Sai, Amerigo, c’è una signora, che afferma con sicurezza, che Elvira è veramente esistita»

Sabato 29 dicembre 2007, con Gino e Norma, siamo andati dalla signora Carlotta Bertoglio sposata Bono detta Lina. Col figlio Domenico ci accolse molto gentilmente e ci raccontò di Elvira e della sua famiglia.
Ecco, abitava qui in questo misero posto, con la nonna e una zia, perché era orfana sia di madre che di padre.
Il padre si chiamava Carli e non era di qui, mentre la madre era dei Chiarle del Cantel una frazione di Castelnuovo Nigra.
Erano veramente alla miseria, tanto che un’altra zia (Luigina Chiarle) che si era sposata nell’astigiano, precisamente a Viarigi, sapendo della triste situazione, aveva cercato per Elvira un giovane che l’avrebbe sposata.
Tutto questo è scritto qui in questa lettera. Comunque Elvira andò giù e si sposò con quel giovane da cui ebbe un figlio.
Il collegamento con Giaculin sta nel fatto, che lui, Giaculin, aveva una cugina, Antonietta Giacomino, che era rientrata dal Cile e aveva aperto un piccolo negozietto qui.
Ogni tanto Elvira andava ad aiutare Antonietta e forse lì aveva incontrato Giaculin.
Non è escluso che la stessa Antonietta caldeggiasse l’unione tra i due.
Ma la storia non andò a buon fine, sia per la grande differenza di età tra i due, Elvira era del 1919 e Giaculin del 1900, sia per il fatto che lei avrebbe dovuto andare a vivere al Brich, che era considerato un posto fuori paese.
Forse questo sentimento non corrisposto era proprio il motivo portante di quelle parole pronunciate da Giaculin dopo averci cantato Elvira.
Musicalmente l’andamento del canto è molto vicino a qualche romanzo a qualche canzone dell’epoca, primi anni del 900, magari con titolo diverso, adattato da Giaculin per esprimere i propri sentimenti.
Il Coro lo esegue nelle serate d’intrattenimento, ma sovente viene invitato a cantarlo ai funerali. Altri ancora lasciano per iscritto la volontà di essere accompagnati alla tomba con l’eco di questo canto struggente.

Alcuni già lo chiamano “Il canto dell’addio”.

Amerigo Vigliermo, Bajo Dora marzo 2009

 
 
       
 
 
 
 
 
 
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La Ballata di ELVIRA e GIACULIN
 

Il canto che abbiamo imparato da Giacomo Giacomino, nel corso degli anni, si è arricchito di tanti e tali particolari che ora potremmo, con un pizzico di enfasi, definirlo come una vera e propria Ballata epico-sentimentale della Valle Sacra.
Essa contiene gli elementi tipici di questo genere di canto: poesia, amore, dolore, cocente disillusione, persino la morte.
Grazie alla testimonianza della signora Lina Bertoglio Bono di Castelnuovo Nigra abbiamo appreso che Elvira non era una vaga e anonima figura femminile, ma una fiamma, una passione, forse sostenuta dalla necessità di avere una compagna al suo fianco, che Giaculin coltivava segretamente ed esprimeva con le note struggenti di questa suadente melodia. Elvira abitava vicino alla casa dei Bono e viveva con la nonna e una vecchia zia. La madre era morta anni prima.
Sempre nella vicinanza della casa dei Bono, la signora Antonietta Giacomino, aveva aperto una merceria dove Elvira andava a fare le pulizie.
La signora Antonietta, come si capisce anche dal cognome, era parente di Giaculin, ed è probabile che proprio in occasione di qualche visita ai parenti, lui abbia incontrato Elvira. La cosa, dice Lina, non è certamente di facile interpretazione per cui si rimane nel campo delle ipotesi, fatto sta che nel canto si coglie tutto il tormento e la delusione di Giaculin per come è svanito il suo sogno.
La forte differenza di età, circa venti anni (lui del 1900 e lei del 1919) e ancor più per il fatto che Giaculin abitava al Brich, zona tra Cintano e Castelnuovo in mezzo ai boschi, non hanno favorito il buon fine della storia che avrebbe potuto cambiare la sua vita.

A questo punto del racconto riportiamo le parole di Domenico Bono, figlio di Lina.

"Credo che subito dopo la guerra Elvira, grazie alla conoscenza di una signora che abitava nell'astigiano, sia andata nella zona di Viarigi e abbia incontrato un uomo che l'ha sposata.
Mia madre ha sempre tenuto i contatti con Elvira attraverso lettere e cartoline. Così abbiamo saputo che aveva avuto un figlio, che ogni tanto viene in Canavese a portare dei tartufi che lui stesso ricerca e raccoglie.
Mercoledì 28 agosto 2013 sarà qui a Castelnuovo Nigra (To) e sarò contento di potervelo presentare."

da sin. Delfino Accornero e Domenico Bono, Castelnuovo Nigra, agosto 2013

Delfino Accornero
Castelnuovo Nigra, 28 agosto 2013

Mio padre si chiamava Teresio ed era del 1909, mia madre era Elvira Carli ed era del 1919. Mia madre è vissuta qui a Castelnuovo Nigra fino alla fine della seconda guerra, abitava vicino ai Bono che l'hanno sempre aiutata.
Nel 1946 è venuta a Viarigi grazie a una conoscenza, una signora che poi l'ha presentata a Teresio Accornero che l'ha poi sposata.
Io sono nato nell'aprile del 1947.
Io non credo che mia madre sapesse della "canzone" almeno lei non me ne ha mai parlato.
Il ricordo più bello che ho di mia madre è nel fatto, che io non ho mai, mai sentito litigare lei con mio padre. Nella sua semplicità era dolcissima.
Era venuta in un posto dove c'erano minori difficoltà economiche. Mio padre era contadino lavorava la terra, aveva una o due mucche, aveva le viti, il grano la "meliga" insomma c'era roba da mangiare.
Mia madre parlava sempre dei Bono, si ricordava sempre di loro.
Non mi ricordo che lei cantasse, mentre invece mio padre, coi suoi amici, cantava sempre.
So della canzone Elvira, perché i Bono mi avevano dato delle cassette che poi ho perso.
Ora, se mi date dei CD mi fate contento anche se non ho gli strumenti per ascoltarli, vedrò di farmi aiutare da qualcuno per ascoltarli.

Mio nonno si chiamava Delfino, come me, e mia nonna Santina Ghidella. Mia madre andava d'accordo con loro e li aiutava in tutti i lavori. La nonna cucinava bene e anche mia madre ci sapeva fare.
Avevano le galline, i conigli e un orto dove non mancava niente.
C'era di tutto dalla "a alla zeta".
Mio padre è morto nel 1975 e mia madre nel 1987.
Io sono subentrato a mio padre e ho pagato i contributi da coltivatore diretto per 48 anni e adesso sono in pensione. Non lavoro più la terra e mi diverto a cercare tartufi.
Avevamo una bella azienda, siamo arrivati a fare anche 500 damigiane di vino.

Il segreto del ricercatore di tartufi sta nel avere dei cani buoni a trovarli. Un buon cane da tartufi può costare anche ventimila euro.
Io ne ho quattro, due più vecchi, di otto anni, che si chiamano Wischi e Luna, mentre i due più giovani si chiamano Full e Lilla.
Il problema dei cani sta nell'allevarli bene e a insegnare loro come si fa a cercare il tartufo. Poi i cani bisogna trattarli bene, premiarli se trovano il tartufo, con pane o carne, mai dare un calcio o maltrattare i cani, bisogna trattarli come dei bambini che capiscono tutto.
La valle del Gombo, che è poi la valle di San Carlo Viarigi (At) è una zona molto buona per i tartufi. La stagione dei tartufi dura 100 giorni a partire da ottobre.
Il tartufaro non è come il cacciatore che prende la lepre e la fa vedere a tutti. No, no, il tartufaro se gli chiedono se ha trovato qualcosa fa vedere i tartufi più piccoli e brutti per non mettere voglia agli altri di cercare.
Io sono diventato un ricercatore "cattivo" perché ho recintato il mio terreno e nessuno può entrare.

Una volta si faceva la festa di San Carlo, domenica, lunedì e martedì. Adesso non si fa più anche perché adesso è difficile parlare con qualcuno, ci sono solo più albanesi e marocchini come si fa a parlare con loro. Oppure ci sono dei giovani ai quali non interessa più niente.

La storia ricostruita con pazienza, grazie all'aiuto di Lina, Domenico e Delfino ci consegna la chiave di lettura della vita di Giacomo Giacomino oltre a confermarci che i fiori della poesia e dei sentimenti più belli possono nascere spontaneamente nel cuore di chi li sa coltivare anche senza titoli accademici.
A volte, come ci insegna Giaculin, basta palesare il "segreto della propria vita" per rivelarsi poeta.
È comunque curioso che proprio in valle sacra sia sbocciato il fiore della ballata di Elvira e Giaculin, la stessa Valle Sacra dove Costantino Nigra raccolse dalla voce delle donne che lavoravano presso la casa paterna di Villa Castelnuovo, tutte provenienti dai paesi limitrofi, le più significative Ballate contenute nel volume Canti popolari del Piemonte.
Sarà un caso o c'è qualcosa di arcano che ancora non abbiamo scoperto?

Amerigo Vigliermo, Bajo Dora 14 settembre 2013

 
 
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